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Dialettalismi - Mio papà...

 

Questo è uno degli argomenti linguistici più ignorati dagli italiani e, contemporaneamente, uno dei più trattati su internet; e, cosa strana, le risposte concordano praticamente tutte: se non volete solo la soluzione ma vi serve una spiegazione grammaticale accurata, avete solo l'imbarazzo della scelta. Preparatevi, però, perché esistono anche molte variabili, così che le spiegazioni sono spesso molto articolate e lunghe.

 

Passiamo adesso alla risposta: si dice il mio papà e non mio papà, come ovviamente (e qui nessuno sbaglia) mio padre e non il mio padre. Lo stesso vale per mamma e madre. Ma come si arriva a questo brutto (per chi ama l'italiano) errore diffuso?

 

La colpa è della supremazia culturale (nel senso più ampio) di Milano sul resto d'Italia, che porta ad adottare come corrette, o quanto meglio migliori, le forme gergali provenienti dalla Lombardia e, spesso, dal Nord in genere. Una forma di sudditanza alimentata anche dalla televisione, che attraverso autorevoli ospiti e giornalisti sta piegando le culturalmente deboli difese delle altre regioni. Anzi, le ha già piegate.

 

Tutto risale alla grande emigrazione di meridionali al nord degli anni '50 e '60, che trovavano, soprattutto nelle grandi città, un livello di scolarità mediamente superiore rispetto a quello che avevano lasciato. In realtà quasi tutti gli immigrati più giovani parlavano un italiano più che discreto (vedere o ascoltare le interviste dell'epoca per rendersene conto), ma i loro genitori, spesso abituati all'uso predominante del dialetto, no. E siccome l'accento era lo stesso per tutti, era facile fare di ogni erba un fascio. A questo si aggiunga il tentativo (spesso vano) di dissimulare le proprie radici per sfuggire a forme più o meno latenti di razzismo. Nacque così il linguaggio "terrunciello", magnificamente immortalato da alcuni film, dove l'immigrato del Sud operava un tentativo di parlata del Nord ma con un accento del Sud. Pochi lo fecero veramente in pieno, ma latentemente fu un fenomeno diffuso, particolarmente tra coloro che non erano andati oltre la scuola dell'obbligo. Così che, tra meridionali che cercavano di parlare (in alcuni casi, come visto, goffamente) come gli indigeni, e questi ultimi che scambiando il tentativo di integrarsi con un rinnegamento, quanto meno parziale, delle proprie origini, vedevano confermato il giudizio che al Sud si parlasse un pessimo italiano (di cui vergognarsi), e, soprattutto, al nord uno corretto da seguire.

 

Questa visione errata si è purtroppo radicata. In realtà il milanese stretto non è più corretto o facile di molti dialetti del Sud, il bergamasco, addirittura, è tra i più ostici in assoluto, e così via. Immaginate se l'emigrazione, con le stesse premesse socio-culturali, si fosse sviluppata in senso inverso: adesso imperverserebbero gli errori tipici del Meridione.

 

Arrivando ai giorni nostri, infine, questa supremazia basilarmente inesistente va invece concretizzandosi, in quanto da tempo la vera cultura, in quasi ogni ambito, trova a Milano la propria capitale nazionale.

 

Quindi, se i milanesi dicono "mio papà", non vuoi che lo sappiano meglio loro? No.

 

 

N.B. Questo articolo è la versione maschile di quello dedicato a "mia mamma".

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