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Donne - Premessa

Questa sezione si chiama "donne", non perché tratti di errori commessi esclusivamente dal genere femminile, tutt'altro, ma perché sono errori determinati principalmente da quello che potremmo (o meglio dovremmo) definire "l'antifemminismo linguistico delle donne".

 

Sottolineiamo a scanso di equivoci, repetita juvant, che tratteremo sempre e solamente di antifemminismo linguistico, anche se le implicazioni sociali non potranno essere totalmente evitate. Ma iniziamo.

 

A "pretendere" questi errori sono infatti quasi esclusivamente le donne. Quando poi non sono loro, ma non si oppongono, la sostanza è praticamente la stessa. In altri termini, gli errori NON sono assolutamente commessi esclusivamente dalle donne, certamente non in misura maggiore che dagli uomini: sono però causati dalle donne, che li pretendono, e dagli uomini, che per essere corretti, le assecondano. C'è poi una marea di persone che si accoda spesso senza porsi il problema, a volte lo fa per ignoranza, altre per paura dell'anticonformismo. Comunque sia, fra gli errori riportati su cercom.com, questi sono tra i più facili da perdonare, in quanto compiuti, a loro modo, a fin di bene.

 

L'antifemminismo (e quindi gli errori di cui discettiamo) può essere diviso in quattro forme:

  1. l'utilizzo di un titolo totalmente al maschile, articolo compreso, per una donna, come "il direttore";
  2. l'utilizzo del titolo maschile e l'articolo femminile, come "la ministro";
  3. l'invenzione di un sostantivo femminile inesistente, come "sindaca";
  4. l'invenzione di un sostantivo femminile a fronte di uno già ambigenere, come "assessora" per "assessore".

 

Abbiamo quindi visto una prima divisione di massima, ma questa segnalazione degli errori è da intendersi quasi teorica, perché, come vedremo quando entreremo nel dettaglio, alcuni di essi sono talmente entrati nell'uso comune da stravolgere le considerazioni linguistiche su cosa sia corretto e cosa no.

  1. Nel primo caso ci si riferisce al ruolo, che si vuole far diventare quasi asessuato, indipendente dal genere di chi lo ricopre. Siccome si tratta di ruoli fino a pochi decenni fa ricoperti esclusivamente da uomini, parliamo del "consueto" mondo al maschile. E' un po' umiliante per il genere femminile che si debba ricorrere al maschile (pensate al caso contrario) per certificare che si sia arrivate ad assumere quel ruolo, soprattutto perché la forma femminile esiste ma viene vissuta come una diminutio.

  2. Il secondo è come il primo, con l'aggiunta di un errore grammaticale.

  3. Con il terzo si assiste ad un tentativo di autodefinirsi come una donna che ha raggiunto una carica al livello di un uomo, non una donna che ha raggiunto un ruolo e basta. Si abbandona la "vecchia" parola femminile, vergognandosene, adottandone una nuova più maschile, maggiormente paritetica nei confronti dell'uomo.

  4. La quarta soluzione, infine, non sta né in cielo né in terra: c'è già una parola che è identica per entrambi i sessi, e se ne crea una nuova? Si potrebbe ritenere una forma di femminismo, ma più probabilmente è solo un nonsenso basato su scarsa riflessione, annaspando nell'italiano. A quando la interpreta, la giudicia, la presida, ecc.?

 

Insomma, almeno linguisticamente un po' di femminismo, o se preferite di orgoglio, alle donne farebbe bene.

 

A questo punto qualcuno si chiederà dov'è la storia, obbligatoria in ogni articolo del sito: come si è arrivati a questa situazione? Diciamo che la storia è talmente implicita nella vita quotidiana, che chi non la vede non la capirebbe neanche dopo ampia spiegazione con disegnini annessi: è difficile fare carriera in un mondo al maschile, se poi bisogna spesso occuparsi anche della casa e dei figli... Ci sono le eccezioni (sempre e rapidamente più numerose), ma restano purtroppo per l'appunto tali.

 

Che dire? Per "salvare" le donne cominciamo col salvare il femminile!


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